Sorprende il ritardo con il quale l’Occidente sta scoprendo il pericolo, e non solo l’opportunità, rappresentato dalla nuova Via della Seta. È stato necessario vedere i leader di cinquanta Paesi africani riuniti a Pechino per capire i rischi che l’Italia e l’Europa stanno correndo sul piano dell’economia, della sicurezza e soprattutto dei trasporti e della logistica.
La nuova Via della Seta non è una rete infrastrutturale neutrale, bensì rischia di essere una rete mondiale di proprietà di una nazione che sarà “sovrana” su altre. La proprietà di reti e infrastrutture cedute in cambio di finanziamento del debito da parte di diverse nazioni può cambiare gli equilibri economici consegnando a un unico soggetto il monopolio mondiale dei traffici marittimi, stradali e ferroviari. Inoltre lo sviluppo dei mercati africani rappresenta la vera grande opportunità di sviluppo dei traffici per l’Italia. Da sempre i porti italiani sono il riferimento degli scambi tra Europa e Africa, a dimostrazione che quel continente non è solo un problema, ma una grande opportunità per il nostro Paese. Non cogliere questa opportunità regalandola al gigante asiatico è un errore che pagheremo duramente.
Chi nel nostro Paese sostiene in maniera acritica la presunta opportunità di crescita derivante della Via della Seta dovrebbe ragionare con maggiore attenzione. Il pericolo di un nuovo colonialismo non riguarda solo l’Africa, ma anche l’Europa, e sarebbe importante che su questo tema il Governo Italiano battesse un colpo.
Cogliere quindi l’opportunità di un incremento degli scambi commerciali, ma senza cedere pezzi strategici di Paese, dovrebbe essere un obiettivo condiviso da tutti. Quando la Cina possiederà una rete infrastrutturale mondiale potrà stabilire tariffe e condizioni di tutti i segmenti della logistica e, di conseguenza, gli effetti sul costo delle merci, sulla libera circolazione e le fortune di un Paese rispetto a un altro. Anche perché questa politica rischia di determinare, almeno nel settore portuale, una sovra capacità dell’offerta infrastrutturale, cosa già accaduta con quella navale, con enormi impatti negativi sull’economia e sull’occupazione.